Sono nata in una famiglia onnivora. La carne si è sempre mangiata quelle due-tre volte alla settimana, qualche volta il pesce. La classica dieta mediterranea.
A me la carne piace, di gusto intendo, soprattutto alcune cose. Il pesce non mi ha mai molto entusiasmata, ma -tant'è- questione di gusti.
E' iniziato tutto con un occhio di trota. Avrò avuto intorno ai 10 anni (anno più, anno meno, si perdoni la mia memoria poco precisa) e un giorno, per pranzo, mia madre cucinò una trota, cosa che -tra l'altro- avevo visto fare diverse volte (pulizia inclusa). Ora, il pesce stava nella padella e io vidi l'occhio diventare bianco e liquido. Terrificante. Ovviamente quel giorno ebbi grosse difficoltà a mangiare suddetto pesce.
Da quel momento qualcosa si mise in moto, pian pianino, e la mia mente iniziò lentamente a fare dei collegamenti concreti, ma tutto rimaneva in fondo al mio cervello, probabilmente per il timore di non riuscire a gestire il fatto che stavo mangiando degli animali, gli stessi a cui mi affezionavo, che amavo.
Passarono diversi anni e ad un certo punto iniziai a non mangiare più il coniglio: non ce la facevo proprio. A 16 anni ormai il lavorìo interiore iniziava a manifestarsi in maniera prorompente, portandomi quasi al vomito nel momento in cui mi cibavo di un animale.. mi fu permesso di diventare vegetariana (e non ringrazierò mai abbastanza i miei genitori di avermi rispettata in questo).
Questa scelta non fu presa in maniera pensata, ma aveva come unica base il fatto che "mi facesse senso"; certo, lì "sotto" c'erano ben altre concretezze, ma non ne ero ancora consapevole. Per 4 anni portai avanti la mia scelta, con la difficoltà di essere un'adolescente, per cui messa in difficoltà da me stessa (ovviamente la cosa mi faceva sentire ancor più "diversa" di quanto non mi ci sentissi già) e dagli adulti che incontravo (più di una mamma di mie amiche avrebbe tanto voluto mettermi la carne di nascosto nel cibo..).
Intorni ai 20 anni arrivò il periodo di crisi: questa scelta era faticosa da vivere nella socialità (devi sempre stare a dimostrare, spiegare, beccarti le più idiote battute e domande, sentirti di peso per gli altri che devono pensare che tu mangi "diverso") e per niente pensata (e probabilmente proprio per questo era così complicato). Decisi di darmi una pausa e di approfondire questa tematica. Per un periodo mi capitò di mangiare carne e pesce (quelle cose che richiamano molto poco la propria origine: prosciutto, bastoncini di pesce, tonno..), ma intanto lavorai su di me.
Mi capitò un esame di filosofia morale con un docente terribile e un programma sconnesso, ma -come sempre nella vita- fu proprio grazie a questo che trovai la chiave di volta, perché tra i libri da portare all'esame c'era "Ripensare la vita" di P.Singer. L'esame non lo passai e cambiai ordinamento per non doverlo più dare con quel docente, ma il libro.. quello mi cambio la testa, me la rivoltò come un calzino.
Fu allora che tutte le cose presero un senso e tutto divenne di una semplicità abbacinante: non avrei mangiato (ovvero ucciso o fatto uccidere) più nulla che avesse un sistema nervoso centrale. Anche perché non aveva senso non voler uccidere un feto umano, o un disabile grave, e poi uccidere un animale molto più sviluppato di lui.
Da allora fu semplice essere vegetariana perché sapevo bene cosa avrei fatto mangiando cadaveri, sentivo appieno la mia responsabilità in questo, e -come di fronte a tutte le cose grandi- tutto il resto erano e continuano ad essere sciocchezze.
Ad oggi non so e non mi spiego come sia possibile mangiare animali (pur avendo un marito che li mangia) e sinceramente non so cosa risponderò a mio figlio quando mi chiederà perché suo padre, i suoi nonni, gli zii e tutte le persone che gli stanno vicino e che sono figure positive mangiano animali. Davvero non lo so. Perché semplicemente per me è inconcepibile e non lo capisco. Rispetto le persone che mangiano animali, ma non le comprendo.
E poi la seconda svolta.
Sono incinta. La concretezza di essere diventata madre mi pone in maniera improrogabile il problema della coerenza. Perché le scarpe le ho di pelle (per me è già difficile trovare scarpe comode e che mi piacciano), perché mangio uova e latticini e lo so, lo so, lo so come sono gli allevamenti. E no, non è sostenibile, perché io devo fare il meglio che posso, devo essere il più coerente possibile, perché io sono l'esempio per mio figlio e a lui dovrò delle spiegazioni per le mie scelte. Anche qui un libro mi ha aiutata un po': "Se niente importa" di J. Safran Foer. E allora basta, si passa a vegan (e ho scoperto che tra l'altro è una dieta sanissima e io sto fisicamente -e moralmente- molto meglio).
Ho condiviso questa mia storia sperando che possa porre degli interrogativi, perché vogliamo essere liberi, ma non c'è libertà senza possibilità di scegliere e non c'è scelta se manca la consapevolezza. E perché possiamo anche essere inconsapevoli, ma rimaniamo sempre e comunque inderogabilmente responsabili.